Il deficit pubblico o disavanzo pubblico è l'ammontare della spesa pubblica non coperta dalle entrate, ovverosia quella situazione economica in cui, in un dato periodo, le uscite dello Stato superano le entrate. Il disavanzo è dunque un risparmio pubblico negativo, al contrario del surplus o avanzo pubblico, che è risparmio pubblico positivo (quando le entrate superano le spese); in tal caso, però, l'avanzo pubblico va distinto dal cosiddetto avanzo primario, che considera la differenza tra entrate ed uscite al netto della spesa per interessi sul debito pubblico.
La spesa pubblica è composta dagli acquisti pubblici e dai trasferimenti alle amministrazioni locali, alle imprese e ai singoli (sottoforma di pensioni e altri tipi di sussidi, come quelli di disoccupazione). A fronte di tali uscite lo Stato incassa imposte di sua competenza, quali le imposte DIRETTE come quelle sul reddito dei singoli (IRPEF) e sul reddito delle società (IRES), e INDIRETTE, come l'IVA. Il saldo negativo tra entrate ed uscite rappresenta il deficit o disavanzo. La presenza di tale deficit pone la questione della sua copertura.
Questa avviene solitamente con l'emissione di titoli di stato come BOT e CCT, che vanno a costituire il debito pubblico, sul quale lo Stato emittente paga degli interessi che contribuiscono a loro volta alle uscite. In passato si è anche fatto ricorso all'emissione di moneta, soluzione abbandonata quasi ovunque nel mondo perché ha effetti fortemente inflattivi (vedi inflazione e iperinflazione).
Anche se il deficit pubblico viene misurato in termini assoluti, indicando il suo ammontare in euro o nella moneta in cui è espresso, gli economisti preferiscono valutarne le dimensioni relative, rapportando il deficit al Prodotto interno lordo del paese. Tale rapporto costituisce, peraltro, un parametro essenziale per il rispetto del Patto di stabilità e crescita per gli Stati membri dell'Unione Europea che rientrano nell'eurozona.
Quali sono le cause del deficit pubblico?
La presenza di un deficit si può attribuire ad un eccesso di spesa (causata da spese inattese o straordinarie, come una guerra o una catastrofe naturale, oppure da politiche economiche di sostegno alla domanda, da scelte politiche finalizzate a creare e mantenere il consenso politico; dall'incapacità o dalla mancanza di volontà di ridurre le spese superflue) e/o a insufficienti entrate (ad esempio politiche fiscali deboli, alta evasione fiscale, bassa crescita economica, che portano nelle casse statali meno denaro di quanto necessario a coprire i costi della pubblica amministrazione).
Ne consegue che le politiche di riduzione del defict pubblico e del conseguente debito pubblico possono ottenersi attraverso una diminuzione delle uscite ovvero delle spese statali e/o un aumento delle entrate ovvero un aumento della tassazione dei contribuenti o una diminuzione dell'evasione fiscale o entrambe le cose.
Una divisione tradizionale delle posizioni in materia di deficit tra forze politiche conservatrici e progressiste, attribuisce alle prime la volontà di ridurre quanto più possibile il deficit dello stato o addirittura di chiudere in pareggio i conti pubblici, allo scopo di mantenere ordine nei conti e di contenere la spesa pubblica e il ruolo dello stato nell'economia, mentre alle seconde verrebbe attribuito il desiderio di accettare deficit pubblici strutturali, purché finalizzati a sostenere la domanda o a preservare le fasce sociali più deboli.
In particolare le posizioni che si rifanno alle idee keynesiane attribuiscono allo stato il compito di sostenere, quando necessario, la domanda di beni e servizi ricorrendo alla spesa pubblica anche in condizioni di deficit.
Nessun commento:
Posta un commento